La Sicilia, la più meridionale e la più ampia tra le regioni italiane, costituisce uno spazio insulare geograficamente periferico, che tuttavia presenta grandi connessioni funzionali con il continente: potremmo dire un’isola per niente “isolata”. Da sempre intensamente umanizzata, essa infatti, ha plasmato le sue caratteristiche demografiche, economiche e urbane soprattutto sui rapporti con l’esterno, collocandosi nel tempo, al centro di comunicazioni intense, ininterrotte: così è stata la Sicilia, successivamente fenicia, greca, cartaginese, romana, vandala, gotica, bizantina, araba, normanna, angioina aragonese, sabauda, austriaca, napoletana, italiana. A questi numerosi cambiamenti politici non ha corrisposto un cambiamento totale di civiltà, ma ognuna delle ondate successive che hanno investito l’antico suolo siciliano ha lasciato qualcosa, e certamente di non negativo come invece vorrebbe il luogo comune che parla di “denominazioni” e “oppressioni”. Il fascino grande della Sicilia non deriva solo dai suoi pur eccezionali paesaggi naturali e storici, ma anche dalle commistioni e dai mescolamenti mediterranei che essa rappresenta. La posizione centrale della Sicilia nel Mediterraneo ha assunto valori diversi nelle varie epoche storiche. Parve centralissima nell’età classica, divenendo poi il baluardo centro-meridionale del decadente dominio di Bisanzio e quindi terra di frontiera della civiltà arabo-islamica, la quale tuttavia dall’isola diramò traffici cospicui, E durante il periodo normanno-svevo fu terra di frontiera di una civiltà eppure centro di un potere politico forte; quella normanno sveva, soprattutto con Federico II imperatore, è perciò ritenuta l’età felice della Sicilia e in particolare di Palermo. La Sicilia è stata terra d’emigrazione storica, eppure l’isola non sente le proprie sorti sempre vicine a quelle del Mezzogiorno continentale. Il meridionalismo siciliano s’incentra piuttosto su una particolare “questione siciliana”, un filone di pensiero che è parente del separatismo e dell’indipendentismo. La notevole autonomia, se da un canto ha attenuato le tendenze separatiste, dall’altro ha rafforzato la percezione di una territorialità insulare “diversa”.
Contrasti fisici in un paesaggio fortemente antropizzato:
La facilità di approdo, il sito topografico, le potenzialità agricole, le stesse condizioni climatiche sono stati certamente fattori importanti nell’indurre gli uomini a preferire alcuni luoghi, anziché altri, per più cospicui e durevoli insediamenti. Eppure la Sicilia, terra dai vasti spazi apparentemente disabitati (specie in alcune plaghe interne, dove la popolazione vive in grossi centri, che contrastano con agri in genere poco popolati), manca in realtà di ampi paesaggi propriamente definibili come “naturali”. Infatti, l’isola è un vecchio e complesso campo operativo della civiltà umana, sicché l’ambiente è, in via diretta o mediata, anch’esso frutto dell’azione dell’uomo,stratificatasi e rinnovatasi nel tempo. L’analisi dell’ambiente fisico induce, pertanto a riflettere sul lungo rapporto fra uomo e natura, anche se tale rapporto, in Sicilia come in altri luoghi, è divenuto sempre più aspro e conflittuale e le terre mediterranee – di cui per certi versi, la Sicilia è espressione classica- sopportano meno agevolmente di altre l’impatto con una malintesa società “tecnologica” perché gli equilibri ambientali vi sono più fragili e delicati.
Il Mediterraneo è un mare circondato dalle montagne. L’asperità delle forme del suolo, la frammentazione sub regionale, l’irregolarità della disposizione del rilievo sono alcuni tra gli aspetti più tipici dei paesaggi mediterranei. A questa montuosità irregolare viene attribuita una sostanziale parte delle colpe per la presunta “inferiorità” del Mezzogiorno e della Sicilia: la scarsità di estese pianure avrebbe precluso lo sviluppo economico, secondo una superficiale (e deteriore) concezione scolastica. Al contrario, uno studioso della prima metà dell’Ottocento, Carlo Afàn de Rivera, buon conoscitore del territorio meridionale e siciliano, considerava una fortuna la montuosità, dal momento che i rilievi condensano umidità e determinano le piogge, addolcendo così le caratteristiche del clima dell’isola che, altrimenti, sarebbe molto più arido.
Varietà geologica dei rilievi Nord- Orientali
La montagna vera e propria occupa circa un quarto della superficie isolana, ed è in larga misura concentrata nella Val Demone, cioè tra la sezione centro- orientale del litorale tirrenico, lo stretto e Catania; le pianure, tutte litoranee, ne occupano circa il 15%. Ma maggior parte del suolo è dunque collinare: quel mare di ondulazioni dolci e monotone che caratterizza la Sicilia interna. I monti della cuspide nord-orientale (nell’immagine che gli antichi avevano dell’isola, la Trinakria costituiva appunto un triangolo, con i vertici incentrati sui capi Peloro, Passero e Boeo) paiono continuare, oltre lo stretto, la montagna calabrese(cosiddetto Appennino Calabro-Siculo) Solo i Peloritani, tuttavia, ricalcano i caratteri dei rilievi cristallini della vicina Calabria; essi toccano i 1374m con la Montagna Grande. Sui Nebrodi o Caronie l’altitudine si fa maggiore (monte Soro, 1847m) e le forme più imponenti, arrotondate per la prevalenza delle rocce arenacee e argillose. I suoi dolomitici, con fenomeni di carnificazione, caratterizzano invece le imponenti Madonie (che sfiorano i 2000m e costituiscono dopo l’Etna, il rilievo più cospicuo dell’isola), un massiccio in cui le pareti di roccia calcarea si elevano dalle più basse formazioni arenacee e argillose sino a pianori sommitali sui quali s’infossano le doline (quarare) o s’innervano brevi dorsali più alte. Separato dai Peloritani dalla valle dell’Alcantara, a completare e caratterizzare profondamente il poderoso rilievo della Sicilia nord-orientale, sorge l’Etna, grandioso edificio vulcanico che è pure il massimo rilievo dell’isola e di tutta l’Italia peninsulare (3323m) e il più importante vulcano attivo d’Europa. L’altezza dell’Etna è mutata varie volte a seguito dell’attività eruttiva; il grande vulcano ha la forma di un cono assai ampio e schiacciato, con un pendio abbastanza dolce fino a 1600m; quindi s’innalza sempre più rapidamente sin verso i 3000m, dov’è tagliato da un ripiano ellissoidale, sul quale si erge il cono terminale. L’Etna oltre al cono eruttivo centrale e al cratere nord-orientale, che è un ramo del condotto magmatico principale, dispone di molti crateri o bocche secondari che, isolati o a gruppi, si osservano sulle sue pendici: tra i più noti sono i Monti Silvestri e i Monti Rossi a nord di Nicolosi, il monte Minardo e il monte Ruvola presso Bronte. A una struttura geologica relativamente semplice, con un edificio basaltico sovrapposto alle argille eoceniche e plioceniche della base, si oppone una complessità notevole di forme superficiali, dovute alle innumerevoli colate laviche solidificatesi nei tempi successivi con aspetti diversi: fiumi pietrificati di lava a blocchi e lastroni, più rare formazioni “a corde”, meravigliose forme colonnari (come nelle celebri gole dell’Alcantara). Le colate si sono talora fermate in luoghi sommitali, come la valle del Bove, talaltra sono giunte sino al mare, come gli stessi suoli di Catania testimoniano; spesso le lave sono state emesse da fenditure e da crateri laterali, siti a quote intermedie.
Rischio Vulcanico e Sismicità
L’attività eruttiva dell’Etna è ricordata, e talvolta documentata, sin dall’antichità classica; la mitologia greca faceva della gigantesca montagna la sede dei ciclopi e della fucina del dio Efesto (detto appunto Vulcano in latino). Si ha ricordo, più o meno ben testimoniato, di oltre 140 eruzioni. Fra le tante, rimane memorabile quella del 1669, che durò quattro mesi (da Marzo a Luglio). Molte tra le isole minori che circondano la Sicilia sono anch’esse di origine vulcanica: così le Eolie e Ustica, Pantelleria e Linosa. Stromboli, ad esempio, la più settentrionale delle Eolie, è un vulcano sempre attivo, e l’isola è costituita dal suo cono visibile, che prosegue nelle profondità marine per circa 2 2 km. Un solo apparato conico costituisce del pari Alicudi, mentre edifici vulcanici complessi sono quelli di Lipari e delle vicine isole di Vulcano e Salina. Analoga situazione geologica vale per Ustica, anch’essa vulcanica, che si trova molto spostata a occidente rispetto alle Eolie, a nord di Palermo, ma, secondo alcuni geologi e geografi, parrebbe ascrivibile alla stessa natura formativa delle Eolie.
La Sicilia si trova sulla frattura fra la zolla europea e quella africana, secondo la teoria della tettonica a zolle o placche, le gigantesche zattere su cui sarebbero poggiate le terre emerse e gli stessi fondi marini. Le linee di frattura sono le più instabili. Quindi l’isola è terra sismica. Talune manifestazioni vulcaniche sono accompagnate da terremoti locali, ma gli eventi sismici maggiori, talora catastrofici, sono di origine tettonica, cioè di assestamento della crosta terrestre. L’area dello stretto di Messina con l’appendice dei Nebrodi, la regione catanese e quella iblea, nonché l’estremo occidente, hanno subito più eventi sismici nel corso della storia. Il terribile terremoto di Messina del 1908 resta un monito per l’area dello stretto, dove sarebbe statisticamente possibile, in futuro, il ripetersi di tali drammatici eventi. Il sisma della Sicilia orientale del 1693, che distrusse Catania, Noto e molti altri centri, fu un evento tragicamente indimenticabile. Il terremoto del Belice del 1968 distrusse quasi del tutto i centri di Gibellina, Montevago, Poggioreale, Salaparuta, Santa Margherita Belice e Santa Ninfa, mentre Menfi e Partanna subirono pesanti danni. Altri sismi minori, quasi dimenticati perché di scarsa risonanza mediatica, negli anni più recenti si sono verificati nei Nebrodi, a Mazzara del Vallo e a Marsala, e pure nella regione iblea, confermando la necessità del rispetto di norme urbanistiche antisismiche. Oggi il Piano territoriale paesistico della regione ne tiene conto, con una classificazione abbastanza accurata.
Gli Altipiani Interni, Le “Rocche”, Le Pianure
L’altopiano degli iblei sfiora i 1000m con il monte Lauro il quale, al pari di qualche sezione settentrionale dello stesso rilievo, è formato da espansioni vulcanici sottomarini del miocene, innalzatisi insieme ad ampie e potenti banchine calcaree disposte a ripiani, che digradano talvolta dolcemente, talaltra con pareti precipiti scavate dalle gole dei torrenti. Queste forre pittoresche, dalle pareti spesso ripide se non verticali, sono dette cave (famosa è quella d’Ispica) e, sin dalla preistoria, sono state sede di insediamenti rupestri e necropoli. Verso occidente, attraverso le groppe calcaree dei monti Erei, pur essi formatisi nel quadro del generale sollevamento dal mare, si perviene all’altopiano gessoso - solfifero, che occupa una vasta area centro-meridionale con un’altitudine tra i 400 e i 600m, in cui le argille gessose e sabbiose, miste a scisti bituminose, a vene di salgemma e a banchi calcarei, risultano spesso ricoperte da stratificazioni nelle quali si rinvengono Sali potassici, oltre alle lenti di zolfo. Questo complesso di dorsali collinari e di ripiani, dalle forme arrotondate, è solcato da valli larghe e svasate, nelle quali corsi d’acqua tortuosi trasportano al mare ingenti masse di detriti, poiché cospicui sono i fenomeni di erosione. Sulle formazioni gessose si notano gli zubbi, ossia piccole depressioni simili alle doline, talvolta dotate di inghiottitoi. È la vecchia regione mineraria siciliana, delle tante zolfate attive nell’Ottocento e sino ai primi anni del Novecento, l’area delle più recenti miniere di Sali potassici e dell’estrazione del salgemma.
Nell’estremo lembo occidentale dell’isola, al di là del corso del Torto e del Platani, la plastica superficiale si frantuma ulteriormente e diviene più mossa. Dai ripiani tufacei d’emersione marina, dalle basse colline argilloso –calcaree, dalle piccole piane costiere, specialmente a nord-ovest, si elevano masse calcaree e calcareo – dolomitiche imponenti e talvolta isolate, le cui creste possono apparire alla fantasia dell’osservatore quali castelli merlati (rocche): le montagne che fanno corona alla piana di Palermo, la Conca D’Oro (tra le quali spicca il monte Cuccio); e poi il Bonifato di Alcamo; l’Inici di Castellammare del Golfo; lo Sparagio (1110m), che costituisce come la radice del promontorio di capo San Vito; il monte di Erice, che vigila Trapani: la maestosa Rocca Busambra, che sovrasta con i suoi 1613m il bosco della Ficuzza. Nell’interno e verso sud il rilievo s’allarga nell’irregolare gruppo dei monti Sicani;quindi sfuma e s’attenua in larghi ripiani calcarei che sui litorali divengono quasi pianeggianti.
Le due più vaste pianure, di origine alluvionale, si trovano a sud e a oriente: la piana di Gela e la piana di Catania. La prima, formata dagli apporti dei corsi d’acqua torrentizi Gela – Disueri - Maroglio e Comunelli, composta in prevalenza di argille, è bordata, sulla linea costiera del mar d’Africa, da imponenti cordoni di dune i quali,
sbarrando il deflusso delle acque, ne determinavano in passato l’impaludamento. La seconda, che si deve agli apporti detritici del massimo sistema fluviale siciliano, quello del Simeto con i suoi affluenti Dittaino e Gornalunga, è la più vasta pianura dell’isola (430 km²), aperta sul mar Ionio, anch’essa prevalentemente argillosa, ma con una più consistente coltre di terreni fertili, non esclusi i detriti vulcanici etnei. Il Simeto e i suoi affluenti, anch’essi sbarrati nel deflusso al mare dalle dune, sondavano dal letto durante le rovinose piene invernali, sicché l’impantanamento e le torride temperature estive contribuivano a fare della pianura catanese il regno della malaria. Già nella prima metà dell’Ottocento i migliori tecnici dell’amministrazione borbonica avevano messo in opera sistemi atti a favorire il deflusso delle acque. Si può tuttavia affermare che soltanto con la bonifica susseguente al secondo dopoguerra le due pianure abbiano perso le accentuate caratteristiche repulsive per l’insediamento che si protraevano da secoli.
Sorprendenti Contrasti Climatici
Il clima siciliano è tipicamente mediterraneo; tuttavia, forse proprio per questa qualità, corrisponde soltanto in alcune sub regioni al luogo comune che lo vorrebbe sempre e dovunque molto mite. Anzi, si può dire che la divisione netta in due stagioni pluviometriche, gli scostamenti anche notevoli delle precipitazioni dai valori medi fra un anno e l’altro, la lunga estate siccitosa e le conseguenti condizioni di semiaridità in estese plaghe conferiscono una certa asprezza al clima isolano. Comunque, non è il caso di evocare fantomatiche caratteristiche africane o aridità sahariane, indulgendo ad altri luoghi comuni che costituiscono una Sicilia immaginaria e, di fatto, giustificano invece ben diverse manchevolezze delle infrastrutture (come, ad esempio, gli acquedotti fatiscenti) e l’assenza di una serie politica dell’uso delle acque. La posizione dell’isola in latitudine ha avvallato sempre l’idea della mitezza del clima; ma, in effetti, l’influsso del Mediterraneo si attenua abbastanza sui monti e nell’interno. La persistenza di temperature relativamente alte per tre – quattro mesi all’anno e la debole escursione termica tra il giorno e la notte contribuiscono a rafforzare l’idea di una Sicilia sempre calda (il che non è), anche per la notevole luminosità del cielo e per l’assenza di piogge. Le quali, tuttavia, si concentrano nella stagione invernale, soprattutto da Novembre a Marzo, sicché il breve inverno risulta assai umido e s’avverte negativamente. Di contro, la stagione asciutta conta su un semestre poco piovoso che incorpora tre mesi (Giugno, Luglio e Agosto, talora con un’appendice settembrina) molto siccitosi. Lo scirocco, un vento caldo proveniente dal Sahara, la cui sabbia viene spesso trasportata sotto forma di pulviscolo giallo – rossastro, soffia con una periodicità irregolare, per due o tre giorni si seguito, durante i quali, specie in estate, le temperature salgono notevolmente e talvolta – per fortuna poche volte all’anno – l’aria diviene letteralmente soffocante. Ancora, la particolare disposizione del rilievo dell’isola, nella quale le maggiori montagne sono prossimi al litorale settentrionale, tranne il gigantesco cono dell’Etna e i tormentati ma non molto elevati altipiani interni, influenza le condizioni climatiche: la distribuzione delle piogge (e delle nevi), ma anche l’andamento delle temperature. Quasi metà della regione, per tre o quattro mesi all’anno, conosce condizioni di semiaridità. Le precipitazioni risultano piuttosto abbondanti sulla fascia montana nord-orientale, soprattutto sugli alti Nebrodi, e alquanto piovosi sono pure i rilievi che contornano la Conca d’Oro palermitana, gli alti Iblei e la regione di Enna. Le zone costiere meridionali, la regione dell’estremo occidente, la piana di Catania, sono all’opposto territori assai siccitosi, poiché ricevono anche meno di 500mm di pioggia all’anno, contro punte di 1300mm sui maggiori rilievi. Più di due terzi dell’isola ricevono da 600 a 800mm; il litorale del mar d’Africa è senz’altro il meno favorito. La neve è normale in inverno, con una permanenza dai due ai tre mesi, sulle alte Madonie (oltre i 1700m) e sull’Etna (dove dura di più per la maggiore altezza); spesso non manca sui Nebrodi e talora compare pure sui monti del Palermitano, fenomeno a torto ritenuto eccezionale. Va ricordato, peraltro, che le piogge assumono spesso l’aspetto di rovesci brevi e intensi, più dannosi che utili, perché le acque non imbevono a fondo i terreni, di frequente argillosi e poco permeabili.
Un’ Idrografia Dispersiva
L’idrografia dell’isola, dai regimi irregolari, è dispersiva, e condizionata in maniera considerevole dalla disposizione del rilievo, che male si presta allo sviluppo di un reticolo unitario. I corsi d’acqua sono in genere brevi, con bacini di non grande ampiezza; ma è specialmente la discontinuità delle portate che li fa ritenere un potenziale idrico di scarsa importanza.
L’asse orografico principale della Sicilia, come s’è accennato, forma un lungo crinale a ridosso della costa tirrenica, delimitando qui il versante meno esteso, le cui dimensioni sono minime a oriente, laddove i Peloritani si addossano al mare. I corsi d’acqua più brevi, in genere sui 20 – 30 km, scendono dalle pendici settentrionali dei Peloritani e dei Nebrodi (e anche delle Madonie): sono le tipiche fiumare con l’alveo stretto e precipite nel corso superiore, che si fa ampio e colmo di materiale alluvionale, anche grossolano, in quello inferiore. Di contro, i corsi d’acqua più lunghi e con il bacino alimentatore più ampio scendono verso lo Ionio oppure, procedendo pigramente in ampi meandri, vanno verso le assolate sponde del mar d’Africa. Il massimo sistema fluviale dell’isola, il Simeto con gli affluenti Gornalunga e Dittaino, raccoglie un bacino di oltre 4300 km², con una lunghezza dell’asta principale di 113 km, e si snoda nella piana di Catania, provenendo dai monti Erei e dalle pendici meridionali dei Nebrodi. L’Alcantara, che scorre ai piedi dell’Etna, è piuttosto breve ma regolare e ricco d’acqua, proprio perché alimentato dalle sorgenti etnee.
Nel versante meridionale, meno piovoso, con un’evaporazione più intensa e con una maggiore estensione dei terreni impermeabili, i fiumi hanno un discreto sviluppo e una scarsa pendenza, sicché perdono i caratteri torrentizi tipici della maggior parte di quelli settentrionali. I maggiori hanno origine dai monti del Palermitano (a ridosso dello spartiacque), nei Sicani, nelle Madonie e negli Erei, e sviluppano il loro corso nella parte centrale dell’isola. Su questa fronte, il rapporto della lunghezza del corso con la portata d’acqua è labile, per la sovrapposizione di terreni di composizione e struttura diversa e per la forte irregolarità della distribuzione delle piogge: infatti, corsi d’acqua come il Sosio – Verdura e il Carboi, arricchiti da sorgenti carsiche, sono relativamente più ricchi di Belice, del Salso ( cosiddetto perché le acque sciolgono i sali minerali dell’altopiano gessoso – solfifero) e del Platani, assai più lunghi e con bacini più ampi. Il litorale tirrenico ospita corsi torrentizi alimentati da qualche sorgente calcarea, come lo Iato, l’Eleutero, il Fiume Grande o Imera Settentrionale, il piccolo Oreto che attraversa Palermo.
La Sicilia ha pochissimi laghi naturali: fra essi spicca il bacino di Pergusa nell’Ennese, che raccoglie acque piovane e di piccole sorgenti, e presenta forti oscillazioni stagionali e annue, privo com’è di emissario. Le coste dunose della Sicilia meridionale e orientale erano ricche un tempo, di “bivieri”, cioè laghi e stagni racchiusi in piccole conche. Essi sono in buona parte scomparsi con le opere di bonifica; ne rimangono alcuni notevoli sul litorale ragusano e siracusano, come quelli di Vendicari, Roveto, Cuba e Longarini, oltre al biviere di Gela. Separati dal mare da cordoni sabbiosi, variano per estensione e grado di salinità nel corso dell’anno, in rapporto alle piogge, all’evaporazione e alle mareggiate. Questi pantani costituiscono importanti complessi di alto valore ecologico – naturalistico, per gli assetti idrologici, floristici e faunistici. Offrono un’oasi di sosta a molti uccelli acquatici e migratori, come ad esempio il pellicano, ormai rarissimo in Italia. In complesso si può dire che le precipitazioni, e quindi le acque, non mancano in assoluto, ma che la forte concentrazione stagionale, l’irregolarità tra un anno e l’altro, i notevoli fabbisogni agricoli (è evidente che senza un’irrigazione adeguata parecchie colture non possono prosperare e altre neanche sopravvivere) e quelli urbani (l’isola è densamente abitata e la popolazione si concentra in grossi centri compatti) fanno sì che le risorse idriche siano insufficienti. Inoltre, poiché nel corso dei decenni sono stati creati numerosi laghi artificiali, su tutti i maggiori sistemi fluviali si pone il problema della gestione di tali bacini. L’invaso più antico è quello di Piana degli Albanesi, a monte di Palermo, che fu costruito nel 1923, seguito poco dopo da quelli di Prizzi e di Gammauta, inizialmente per scopi idroelettrici. Molto più recenti sono gli invasi dell’estremo occidente, come quelli di Poma e Scanzano, rispettivamente sui corsi d’acqua Iato ed Eleutero. Ma i più capaci servono le grandi pianure costiere sottostanti: Disueri e Comunelli sulla piana di Gela, e soprattutto gli invasi Ogliastro, Ancipa e Nicoletti, tutti e tre lingo il sistema fluviale del Simeto – Dittaino – Gornalunga, al servizio della piana di Catania. Attorno a questi invasi, sia i più vecchi sia i più recenti, si scorgono aree rimboschite piuttosto consistenti, costruite proprio per frenate l’apporto alluvionale e quindi per rallentare il processo di colmata, abbastanza celere nei climi e negli ambienti mediterranei. Questi ampi lembi boschivi costituiscono un piacevole stacco nel paesaggio, in genere non molto ricco di essenze forestali d’alto fusto.
Progressi e Contraddizioni Nella Salvaguardia Ambientale
La Sicilia dispone di tre vasti parchi naturali regionali (Etna, Madonie e Nebrodi) e di un’ottantinadi altre aree protette di minore estensione, in gran parte riserve naturali regionali. L’assenza di parchi nazionali potrebbe sorprendere, di fronte alla ricchezza di ambienti e paesaggi di eccezionale bellezza e interesse, ma bisogna ricordare che la Sicilia è una regione a forte autonomia, molto gelosa, a torto o a ragione, di questa prerogativa: ad esempio, le importanti raccolte di beni culturali che altrove in Italia si dicono musei nazionali, in Sicilia, sono musei regionali. Inoltre, un fine forse meno nobile ha condotto a evitare i vincoli rigidi che l’istituzione dei parchi nazionali comporta sulle aree in esse incluse, e cioè quello di provvedere localmente, con le ampie possibilità legislative dell’assemblea regionale siciliana, a tali incombenze, magari salvaguardando in qualche modo gli interventi antropici già presenti sul territorio. I tre parchi regionali sono stati effettivamente istituiti dopo lunghissime diatribe e incertezze sul loro perimetro, per cui le aree in essi ricomprese hanno potuto subire alterazioni anche consistenti nel frattempo.
Teoricamente, dunque, la Sicilia conta su una notevole superficie protetta, per cui figura da tempo ai primi posti fra le regioni “virtuose” in tale campo. Praticamente, non sempre la salvaguardia è reale e non sempre i vincoli vengono rispettati o, forse, correttamente interpretati. Il Parco dell’Etna, istituito da una legge regionale del 1987, copre oltre 58.000 ettari, in modo da comprendere tutta la circonferenza del vulcano. La sua istituzione è sopraggiunta tardi rispetto agli scempi edilizi compiuti e al depauperamento dei boschi etnei, forse un tempo i più belli della Sicilia.
Le isole Eolie o Lipari formano, come detto, un arcipelago dalle strutture vulcaniche imponenti, se consideriamo che soltanto i coni eruttivi fuoriescono dalle acque marine solo per un terzo della loro altitudine totale. Stromboli è certo l’apparato più celebre, oggetto di un turismo escursionistico. Ma per chi volesse osservare una struttura insulare vulcanica davvero complessa, formata da più apparati sovrapposti, con tipi diversi di effusioni e, quindi, di rocce vulcaniche, Lipari è il luogo più rappresentativo. Come già accennato, presenta notevoli motivi di interesse anche la vicina Vulcano, isola in cui esiste ancora una modesta attività vulcanica. È curioso notare come queste due isole non costituiscano aree naturali protette ufficialmente dall’ente regionale, che invece ha istituito aree di salvaguardia per tutte le altre isole dell’arcipelago. Aree protette dalle Eolie sono Alicudi e Filicudi (compresi il faraglione La Canna e gli scogli di Montenassari), Panarea, Stromboli con lo scoglio di Strombolicchio e Salina, isola “diversa” perché caratterizzata dal paesaggio agricolo e dalla presenza – forse meglio salvaguardata che altrove – della caratteristica dimora rurale eoliana, simile a quella campana insulare e sorrentina antica.
Inoltre, a Ustica, alcuni tratti di mare circostanti sono perimetrati in una riserva naturale marina, che tende a impedire l’eccessivo depauperamento del fondali, delle scogliere e delle stesse pareti sottomarine, ricche di flora e fauna ormai non frequenti in altri luoghi del Mediterraneo. Oggetto di protezione almeno parziale sono anche altre fra le isole minori che circondano la Sicilia, di origine vulcanica, come Pantelleria, oppure prevalentemente calcarea, come Lampedusa. Il paesaggio di Pantelleria, profondamente trasformato dall’uomo sin da tempi remoti, è coperto di vigneto di pregio e ambito da una perdurante moda residenziale: infatti molti dammusi, le vecchie case rurali degli agricoltori panteschi, in pietra, dalle linee asciutte e severe, sono stati acquistati e ristrutturati con finalità di seconde case turistiche, talora senza rispettarne le linee tradizionali. Ma il vincolo riguarda ora anche gli insediamenti. Lampedusa, isola remota nel canale di Sicilia, con oasi di Legambiente, flora e fauna rare e ambienti marini di alto valore biologico.
Il Parco delle Madonie si estende su quasi 40.000 ettari, quello dei Nebrodi su oltre 85.000. Le Madonie sono montagne imponenti, varie per i paesaggi e con magnifici panorami sia sul mare, su cui incombono da presso, sia sull’altipiano interno.
I Nebrodi, a loro volta, custodiscono le più belle foreste siciliane, oltre quelle dell’Etna; da essi, la stessa mole lontana del vulcanosi osserva bene dalle aree sommitali e, in particolare, dal monte Soro. Le faggete, che sovrastano in alto le estensioni a castagni, cerri, e querce, appaiono ampie, imponenti; e queste montagne sono ultimo asilo di specie animali mitiche e simboliche, come l’aquila reale. Sui Nebrodi si alleva ancora un piccolo maiale nero, un tempo moto diffuso, che si nutre con le ghiande dei querceti.
Venendo alle altre tipologie di aree protette, la forse del Simeto è una riserva naturale orientata regionale, di grande valore naturalistico anche se a lungo ha sofferto per incuria e speculazione edilizia.
Fra i residui delle antiche zone anfibie della Sicilia meridionale e orientale a sud di Siracusa, sul litorale ionico, un’area protetta di meravigliosa bellezza è quella dei Pantani di Vendicari, dove la tipica macchia mediterranea cresce incontaminata. Le saline in provincia di Trapani costituiscono un’area umida costiera di grande suggestione. Diminuita o spenta la produzione, esse sarebbero andate in rovina se non fosse stato creato un parco regionale. Altre saline di notevole valore paesisti cosi trovano in provincia di Siracusa, poco a sud della città e presso capo Passero. Anche lo Stagnone di Marsala, la laguna derivata dall’interramento dell’antico porto Lilibeo, chiusa da isole esterne, è oggetto di varia protezione. Esso racchiude una piccola isola circolare, Mozia o San Pantaleo, dove si ammirano le rovine di una città punica, in un quadro vegetazionale, culturale e paesistico di eccezionale valore.
Città e Borghi
Grandi centri e “città rurali”
Il valore delle città siciliane come beni culturali complessi è elevato, anche se con gradazioni diverse. D’altra parte, non si tratta di città – museo, ma di agglomerati urbani vivi, in perenne trasformazione, nei quali le difficoltà derivanti dall’affollamento, dalle condizioni economiche non sempre brillanti e dalla contemporanea necessità di sviluppo e modernizzazione si confrontano con tessuti urbanistici complicati, appunto carichi di storia, ma in parte inadatti al traffico automobilistico e a ospitare infrastrutture attuali. Oppure, essi si rivelano ben adatti a farlo, e nel modo migliore, dove programmi di restauro conservativo e soprattutto di riconversione razionale del patrimonio edilizio e dell’arredo urbano d’epoca si sposino a promozioni turistiche non velleitarie, in modo da non gravare sui pubblici bilanci dissestati. Esaminiamo da questo punto di vista le quattro maggiori città dell’isola una occidentale Palermo, tre disposte lungo il maggiore asse insediativo e urbano, quello ionico – orientale, cioè Messina, Catania, Siracusa. In due di esse, Messina e Catania, una parte consistente dell’impianto urbano storico è stata cancellata e sostituita a causa di eventi naturali drammatici, con terremoti ed eruzioni vulcaniche. Inoltre, non bisogna dimenticare le cosiddette “città rurali”, nate tra il Cinquecento e il Settecento come centri di colonizzazione baronale in vasti territori spopolati e incolti. I “baroni” (che in realtà erano principi, duchi, conti) ottenevano una sorta di licenza di ripopolamento dalla corona spagnola, che dominava sull’isola grazie alla successione al regno d’Aragona, e fondavano nuovi villaggi rurali o addirittura piccole città, spesso a pianta regolare, con al centro il palazzotto signorile e la cattedrale, facendovi immigrare contadini da altri loro possedimenti o invogliando l’arrivo di nuova popolazione rurale con modeste agevolazioni. In casi più rari, i comuni “liberi” o “regi”, cioè quelli che non appartenevano a una casata nobiliare o al clero, fondarono nuovi centri. In qualche altro caso si trattò di riedificazione di un agglomerato precedentemente distrutto.
Grandi potenzialità economiche in cerca di attuazione
Molte piccole aziende siciliane, industriali o di servizi, ad esempio nel settore dell’abbigliamento, in quello agroalimentare, di infissi, utensili metallici, e poi aziende di supporto all’edilizia e ai lavori stradali, fino all’artigianato industriale urbano (pasticcerie, panifici, imprese della ristorazione, piccole catene di supermercati, ecc.) chiudono o riducono l’attività ogni anno, con grave danno per un’occupazione già debole: basti pensare che, su una popolazione maggiore di neppure il 20%, in Sicilia cercano lavoro più di 350.000 persone contro neppure 100.000 in Piemonte. L’elevata “mortalità” aziendale è ascrivibile in larga misura – ma non solo secondo quanto riportano i mezzi di comunicazione di massa – alle pressioni più o meno pesanti della criminalità organizzata. Questo avviene, purtroppo, nonostante la prevenzione e la repressione che forze dell’ordine e magistratura non fanno mancare, sia pure con qualche discontinuità. Ciò non toglie che l’azione di contrasto risulti abbastanza costante, in una situazione certamente difficile.
Quello della difficoltà e dell’alto costo del credito è uno dei gravi problemi che affliggono la Sicilia e in genere il Mezzogiorno: un paradosso fatto realtà, per cui laddove sarebbe più necessario il credito alle imprese, o anche a singole iniziative terziarie piccole ma intelligenti, i costi e le garanzie richieste salgono, erigendo un altro ostacolo all’avvio di un’attività che scoraggia talvolta dal proseguire. Sono quindi largamente benvenute le varie iniziative di finanziamento agevolato opportunamente mirate, come nei più recenti strumenti di programmazione negoziata; e anche quelle di snellimento dei vincoli burocratici e formali eccessivi, da non confondere con l’abbattimento delle già deboli barriere normative contro abusivismi, evasioni e illegalità diffuse sul territorio.
La sommatoria di criminalità organizzata e difficoltà nell’accesso al credito costituisce talvolta il più diretto viatico verso l’usura, quindi verso la rovina dei non numerosi imprenditori e delle stesse famiglie: la Sicilia, purtroppo, è stata sovente teatro di “casi” emblematici in tal senso, raramente emersi ma purtroppo tutt’altro che isolati.
Le vie di Comunicazione Terrestri
All’interno delle politiche classiche di sviluppo del Mezzogiorno, il problema infrastrutturale ha assunto, praticamente da sempre, una posizione centrale. Purtroppo, nonostante gli investimenti senz’altro ingenti, esso rimane cruciale e, in molte aree, irrisolto: per questo motivo, sembra opportuno iniziare la trattazione dell’economia siciliana – in maniera forse inusuale – proprio dal sistema delle comunicazioni. Oggi come in passato, le vie di comunicazione interne efficienti e quelle per l’esterno, come i porti e gli aeroporti, in una regione insulare così vasta e popolosa, sono fondamentali per attenuare la perifericità rispetto ad resto d’Italia e all’Europa e per ridurre le distanze infraregionali, che risultano particolarmente pesanti (tre le due principali città dell’isola esiste una distanza di oltre 200 km, quasi come tra Roma e Napoli).
I due principali assi autostradali hanno andamento costiero, collegando Messina con Catania e, attraverso i litorali tirrenici, con Palermo. L’autostrada Messina – Catania costituisce la maggiore arteria dell’isola; a essa si affiancano i difficili tracciati della strada statale e della ferrovia, che proseguono verso Siracusa, dove, da Catania, arriva anche una superstrada. La direttrice tirrenica, invece, si interrompe per circa 40 km quasi al centro del tracciato e, purtroppo, la vecchia strada statale costiera è strettissima e tortuosa. Il compimento di questa sezione autostradale è indispensabile. Le assicurazioni di celere completamento, ripetute per molto tempo, ancora non hanno corrisposto alla realtà. Forse, la prevista costruzione del ponte sullo stretto di Messina potrebbe indurre, finalmente, a completare quella che ne diverrebbe una fondamentale prosecuzione. Una terza autostrada, che collega Palermo con Catania attraverso l’interno della Sicilia, toccando Caltanissetta ed Enna, è libero da pedaggio. Come nel caso della tratta dell’autostrada Salerno – Reggio di Calabria , questo apparente vantaggio si è tradotto tuttavia in scarsità di risorse per far fronte alle ingenti necessità di manutenzione, dal momento che in parte l’autostrada corre su viadotti nel letto di fiumi, e talora su terreni argillosi instabili. Il tracciato dell’autostrada Palermo – Catania, che nei tratti più distanti dalle aree urbane non appare intensamente trafficato, svolge una funzione sostitutiva rispetto alla linea ferroviaria che, vecchia e tortuosa, collega pur sempre due tra le maggiori città italiane impiegando da quattro a sei ore, e dunque con una velocità commerciale, a seconda dei convogli, di 35 – 50 km orari: cosa incredibile all’inizio del terzo millennio. Peraltro, anche la linea ferroviaria Messina – Palermo, che in buona parte è a binario unico, andrebbe raddoppiata per ridurre i tempi di percorrenza e per convogliare una parte del traffico di merci che sceglie invece la strada, con costi elevati e alti tassi d’inquinamento. Il sistema autostradale dell’isola comprende anche una diramazione nell’estremo occidente, che, dal vecchio tratto Palermo – Punta Raisi, prosegue sino ad Alcamo, per poi biforcarsi con un ramo per Trapani – Marsala e un altro, verso sud-ovest, attraverso la valle del Belice e per Mazara del Vallo. Quest’ultimo ramo fu soprannominato “autostrada del pesce”, perché utilizzato nelle spedizioni celeri di pesce fresco da Mazara, o “autostrada del Belice”, perché ritenuto utile – invero discutibilmente – allo sviluppo del territorio devastato dal sisma del 1968. Se i tronchi autostradali fra Palermo, Messina e Catania erano sicuramente necessari, il collegamento verso il Trapanese avrebbe forse potuto limitarsi alle superstrade. È previsto da molto tempo un ulteriore tronco, lungo il litorale della regione iblea, da Catania a Siracusa, Noto e Gela. La rete autostradale siciliana, , e ancor più quella ordinaria, alquanto sviluppata come chilometraggio complessivo – si è detto – ma altrettanto invecchiata se non addirittura obsoleta, appare bisognosa di numerosi ammodernamenti e non esclusivamente di completamenti. La situazione generale delle ferrovie è in assoluto molto carente, fatte salve limitate eccezioni. Tra esse, va notata la costruzione di un tratto dedicato tra Palermo e l’aeroporto falcone – Borsellino di Punta Raisi, che nella parte iniziale e in città sfrutta in modo intelligente vecchi tracciati adattati per un breve la utilissimo percorso metropolitano.